Giovedi 4 Luglio ore 21:00 – Largo Venue – Allah Loves Equality
ALLAH LOVES EQUALITY – Essere LGBT in Pakistan
Nata da una campagna lanciata su internet dal regista pakistano (che vive in Italia da molti anni dove è impegnato anche come attivista di Amnesty International) Wajahat Abbas Kazmi, l’idea di un documentario sulle persone LGBT in Pakistan si è sviluppata come un primo passo di un programma che, idealmente, dovrebbe mostrare la vita delle persone omosessuali e transgender nei paesi organizzati sotto le regole della religione musulmana.
La repubblica islamica del Pakistan è un intreccio di contraddizioni. Le persone vengono perseguitate sulla base di leggi coloniali e di interpretazioni religiose molto restrittive, ma la tradizione dell’impero Moghul nei confronti delle hijra da una parte e l’impossibilità dettata dalle norme islamiche di fare sesso prima del matrimonio hanno costruito una società in cui alla riprovazione pubblica corrisponde un certo grado di tolleranza da parte di molti in privato.
In questa cultura bifronte, in cui le persone transessuali sono teoricamente rispettate, le famiglie e la società provvedono a un’emarginazione di fatto che spinge queste donne (il transgenderismo FtM è invisibile o statisticamente inesistente) a lavori umili e degradanti, quali la questua, l’esibizione come fenomeni a feste di matrimonio o di compleanno e la prostituzione. Negli ultimi anni si è però creata una piccola rete di associazioni che riunisce e aiuta queste persone e che è anche riuscita a far emergere da questo limbo sociale e lavorativo alcune delle sue esponenti.
L’associazionismo gay è invece legato alle ONG che diffondono notizie e pratiche per combattere la diffusione del virus HIV. Le persone apertamente gay sono pochissime e “Allah Loves Equality” è il primo documento in cui hanno accettato di mostrarsi apertamente. Nel documentario si affronta anche il tema delle persone lesbiche, che tuttavia – in una società in cui il ruolo decisionale della donna è continuamente negato e messo in discussione – risultano assolutamente invisibili.
Per raccontare la campagna e la realizzazione del documentario il regista, insieme alla sua assistente Elena De Piccoli che lo ha accompagnato nel viaggio in Pakistan e all’attivista Michele Benini, ha realizzato un piccolo volume, che ha avuto anche una segnalazione sul bollettino della sezione italiana di Amnesty International. Nelle fasi di montaggio del film il regista e altri attivisti sono stati fatti oggetto di una serie di minacce di morte culminate con un attacco mail e sui social network tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 2018.